Il termine probiotico è ormai diventato di uso comune in televisione, nelle pubblicità, in ambito medico o salutistico.
Ma forse il suo significato non è sempre così chiaro.
Etimologicamente, si tratta di una parola composta dal prefisso pro, ovvero “favorevole a” e dalla radice “bio”, assumendo pertanto il significato di elemento favorevole alla vita. Si tratta dunque di un cibo? Di un farmaco? O di che altro?
Un essere umano è composto da cellule, tessuti e DNA propri, ma tutto ciò non è sufficiente a garantirne la sopravvivenza. Esattamente come se fosse una foresta, ospita sulla superficie e anche all’interno del canale digerente diverse centinaia di specie batteriche – ma anche funghi, lieviti e virus. I microrganismi che vivono sulla pelle prendono il nome di microbiota cutaneo, quelli che vivono nell’intestino costituiscono il microbiota intestinale, e così via. Ogni popolazione di questi microrganismi simbiotici contribuisce a creare un ambiente che ostacola l’attecchimento di altre specie patogene, di fatto costituendo un efficace scudo di protezione da diverse malattie. L’equilibrio tra noi e questi ospiti microscopici è talmente importante da essere alla base della nostra sopravvivenza. Senza il microbiota intestinale, principalmente nell’intestino tenue, non avrebbero luogo diversi processi di assorbimento di nutrienti essenziali.
Per probiotici si intendono pertanto i microrganismi non patogeni in grado di garantire o ristabilire le condizioni di salute dell’intestino, ma anche del cavo orale, della cute, dell’apparato genitale. Solitamente ci si riferisce, più nel dettaglio, a organismi come i bifidobatteri, i lattobacilli, gli streptococchi, oppure a lieviti come il Saccharomyces boulardi, un ceppo del più noto Saccharomyces cerevisiae, il lievito di birra. Ogni colonia occupa un luogo specifico e svolge funzioni specifiche di essenziale importanza, ma le colonie possono subire perturbazioni (disbiòsi) che ne alterano il numero o la distribuzione. Questo avviene, ad esempio, nel caso di trattamenti antibiotici, o di coliti.
Quando una disbiosi genera effetti evidenti, si interviene attraverso la somministrazione di nuove colonie batteriche dall’esterno – i probiotici – per ripristinare celermente un prezioso equilibrio che potrebbe ricostruirsi solo dopo mesi o anni, rischiando di condurre a una grave debilitazione la persona in tale stato.
La somministrazione di probiotici non è opportuno che avvenga a caso, ma solo dopo l’attenta valutazione delle condizioni del paziente, con l’intento di ripristinare l’equilibrio iniziale attraverso l’utilizzo dei ceppi più opportuni e dei prodotti che garantiscano la migliore efficacia terapeutica.