Quanti momenti, nella vita, sono sottolineati da un brindisi, da un bicchiere di vino, da una bottiglia che si stappa? L’uomo utilizza le bevande alcoliche fin dall’inizio della propria storia con molteplici significati: sociale, conviviale, rituale, terapeutico, o come antidepressivo. Durante la recente pandemia, si è osservato un consistente aumento del consumo di bevande alcoliche probabilmente a scopo ansiolitico. All’alcol sono talora attribuite proprietà protettive e preventive, ad esempio nei confronti di diverse patologie cardiocircolatorie (ma tale posizione è tuttora controversa).
A prescindere dalle scelte di ciascuno, assolutamente personali e legittime, la scienza ci offre alcuni solidi elementi di riflessione rispetto al significato funzionale dell’alcol (etilene) e degli alcolici nella nostra alimentazione. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), autorevole organismo scientifico internazionale, si occupa da tempo di stilare e aggiornare una classificazione delle sostanze cancerogene o potenzialmente cancerogene. L’etanolo, ovvero l’alcol etilico, rientra purtroppo in tale elenco e figura tra le sostanze accertatamente cancerogene. Non esistono dubbi, pertanto, sulla nocività del consumo di alcolici, anche se alcune bevande alcoliche tradizionali possono anche fornire un apporto di nutrienti utili, come antiossidanti (es. resveratrolo, il vino) o vitamine (es. vitamine del gruppo B, la birra). Un altro dato significativo è che non esiste una dose minima alla quale non è associato alcun rischio, pur essendo evidente che chi consuma alcolici spesso e in grande quantità è ovviamente molto più esposto a rischio di tumori o a effetti infiammatori sistemici rispetto a chi lo fa più raramente e in quantità modeste.
Quando siamo sottoposti a un maggiore stress, l’alcol può diventare una presenza più frequente sia a tavola che nelle pause. Ciò può avvenire, purtroppo, anche dopo la diagnosi di una malattia oncologica. Ci sembra che sorseggiare un bicchiere di vino possa essere un modo per dar valore al tempo che improvvisamente sembra scivolare dalle dita. Oppure ancora la leggera euforia alcolica può lenire per un attimo l’angoscia e, apparentemente, restituire leggerezza. Purtroppo la legittima necessità di fornire sollievo alla mente non sempre è conciliabile con le necessità di tessuti che devono combattere il tumore e, al contempo, proteggersi dagli effetti avversi della chemioterapia.
In tali casi il consumo di alcolici è sconsigliabile in assoluto. Sia che la malattia oncologica sia in corso o pregressa, introdurre etilene in qualsiasi forma non è una buona idea. Facendolo, potremmo infatti ostacolare l’efficacia delle terapie, mantenere condizioni organiche più favorevoli alla proliferazione delle cellule oncologiche o, in caso di guarigione, esporci a un maggiore rischio di recidive. Il rischio ovviamente è tanto maggiore quanto maggiore è il consumo di alcolici o la concentrazione di alcol nelle bevande. Tale consiglio è pienamente in linea con i risultati della ricerca, e con i documenti di sintesi elaborati dalle agenzie internazionali (es. WCRF e IARC). È noto che l’alcol esercita un effetto infiammatorio significativo e duraturo, creando condizioni organiche più favorevoli alle cellule neoplastiche che alle cellule sane, e obbligando gli organi come il fegato ad un lavoro notevolmente gravoso per eliminare lo stato di intossicazione provocato dall’acetaldeide.
Per una persona sana, un consumo saltuario e modico di vino o birra non rappresenta necessariamente un fattore di rischio importante. In caso di tumore, invece, l’attenzione deve essere massima, e nessuno strumento lasciato al caso. Anche in caso di guarigione, è bene che il paziente ex oncologico si tenga lontano dalle bevande alcoliche, con la consapevolezza che non è un brindisi a creare un momento di festa, e che si può celebrare la vita e l’amicizia in molti modi, anche senza alcol.